jeudi 16 mai 2013

Ius Soli, Si o No? Ritardo italiano sui diritti civili!

Oggi, sento la necessità di scrivere la mia sulla questione dello Ius Soli.


Cercherò di farla quanto più breve possibile, anche se mi é un po difficile. Si tratta per me di un diritto sacrosanto, e trovo assurdo che debba generare così tanto dibattito e fare uscire anche da chi meno mi sarei aspettato, dichiarazioni che in Francia (paese in cui sono nato e cresciuto) ho sentito solo da Jean-Marie Le Pen e parte del suo elettorato (su di questo tornerò in seguito).

Il razzismo latente (o non) che emerge in questi giorni con questo dibattito é assolutamente sconvolgente, mi ferisce particolarmente. Non é un tema su cui riesco a scrivere o parlare senza particolari emozioni.

Sarà che di quattro miei nonni, ben tre erano italiani immigrati in Francia (chi negli anni 40, chi negli anni 50), e che la mia unica nonna francese, che ha fatto 90 anni poco fa, ha una mentalità più aperta di alcuni “giovani”. Sono cresciuto sentendola incazzarsi ogni volta che qualcuno si permetteva di fare la minima battuta razzista. Bisogna dire che lei, il razzismo lo ha vissuto direttamente: all'inizio degli anni 60, appena divorziata, a circa 40 anni si metteva con l'unico immigrato del suo paesino di circa 2000 abitanti, un napoletano, mio nonno. Non entro nel merito, ma vi lascio immaginare quante ne ha sentito!  

Chi nasce, vive, cresce in un paese ne assume l’identità

Per mettere in rilevanza alcune assurdità del quadro legislativo e l'importanza dello Ius Soli, vorrei incominciare con degli esempi concreti.

Mio padre, nato nel 1955 a Bari, é arrivato nel nord della Francia nel 1957 con i genitori. Ha frequentato la scuola in Francia, ha imparato a leggere e a scrivere in Francia (e in francese ovviamente), sin dall'età di 17 anni ha incominciato a lavorare e a pagare dovuti contributi in Francia, e da un paio di anni é pensionato (dopo 37 anni di lavoro per la stessa azienda) e percepisce una pensione dallo Stato francese come gli spetta.
Bene, da piccolo mio padre é stato in Italia solo tre volte in vacanza tra il 1957 e il 1975, dopo di che ha passato delle vacanze in Italia nel 1985, e poi non ci ha mai più messo piedi fino al 1999; tuttora ci é sempre venuto solo per vacanze.
Perché questo esempio? Mio padre ha il diritto di voto in Italia, paese in cui é nato, ma che non conosce quanto conosce la Francia. Ha votato per la prima volta della sua vita all'età di 49 anni, per le elezioni europee del 2004, perché per la prima volta era possibile votare dal paese di residenza.
Quando mio padre va all'estero, si presenta come francese. Quando viene in Italia, si accorge che in fin dei conti é più molto più francese che italiano, anche se non sulla carta, e anche se “il sangue”, come avanzerebbe qualcuno, é italiano.
In Francia invece, fino a qualche anno fa, doveva rinnovare il permesso di soggiorno ogni 10 anni. Per farlo, andava in commissariato, e sentiva puntualmente poliziotti che gli scandivano le parole piano piano rivolgendosi a lui, come se lui non capisse. (inutile specificare che mio padre parla molto meglio il francese dell'italiano).

Penso che questo esempio abbastanza chiaro possa dare un'idea di quanto Amadou (personaggio immaginario), si possa sentire senegalese, lui che é nato nel 1995 a Cremona, figlio di immigrati senegalesi, e che non ha mai avuto la fortuna di visitare il paese di origine dei suoi genitori. Amadou é italiano ma non sulla carta e non “di sangue”, così come mio padre é francese, ma non sulla carta e non “di sangue”.

Allora voglio arrivare ad un altro esempio. Il sottoscritto, Raphael Pepe, così come prevede la legge italiana, ha la cittadinanza italiana. Ho questa cittadinanza, non perché sono nato in Italia, ma perché mio padre é italiano. Io e tanti miei cugini nella stessa situazione (siamo circa 26... eh si questi immigrati fanno un sacco di figli!), abbiamo la doppia cittadinanza.
Sono l'unico di tutti a vivere oggi in Italia. Su circa 26 cittadini italiani che siamo, solo 4 di noi parliamo la lingua italiana, altri si sanno esprimere un po in dialetto barese o tarantino, altri invece non sanno una parola di italiano. Nessuno dei miei cugini ha mai vissuto in Italia, nessuno di loro ha l'intenzione di viverci un giorno, quasi nessuno di loro vota in Italia nonostante ne abbia il diritto, alcuni addirittura non sanno nemmeno di avere questo diritto.
(Per la cronaca, a Bari nel 2006, andai in un ufficio del Comune per ritirare la mia tessera elettorale. Avevano a disposizione non solo le tessere elettorali di tutti questi cugini, ma per molti gli indirizzi erano sbagliati, per cui le tessere elettorali non arrivavano mai. Inoltre – scusate la lunga parentesi – avevano anche a disposizione la tessera elettorale di un mio zio morto nel lontano 1994.)

Ecco, grazie al diritto del sangue (Ius Sanguinus) applicato in Italia, si da l'opportunità a figli o nipoti di italiani, di essere cittadini italiani anche se nati all’estero; ma si nega questa opportunità ha chi é nato e cresciuto in Italia se ha genitori stranieri.

Tra Amadou e mio cugino Nicolas (uno di questi cittadini italiani che non sapeva nemmeno di esserlo e non parla nemmeno l'italiano), penso sinceramente che sia Amadou che dovrebbe avere il diritto di voto in questo paese.  

Il dibattito sullo Ius Soli non é un dibattito sull’immigrazione

Torniamo alla questione iniziale e al dibattito che si accende in questi giorni.
Innanzitutto, c'è tanta confusione.
 Il dibattito sul diritto di cittadinanza a chi nasce sul territorio si trasforma spesso in dibattito sul tema dell'immigrazione. Non stiamo affatto parlando di immigrati, bensì di bambini nati sul territorio italiano.

Mi rendo conto leggendo commenti o articoli, sentendo alcune persone, che spesso vengono fatte delle affermazioni degne del populismo di estrema destra degli anni trenta. Si sente parlare addirittura di “rischio di invasione”. C'é gente che parla di una “Lampedusa che rischierebbe di trasformarsi in grande sala parto”, gente che afferma che “in tempo di crisi, non possiamo sfamare tutti.”

Mi sono promesso di non estendere troppo il dibattito, e di parlare di Ius Soli e non di immigrazione; ma non posso fare altro che soffermarmi su questo aspetto.
Le tesi secondo le quali l'immigrazione sarebbe una delle ragioni della disoccupazione o della crisi sono del tutto infondate. Le ragioni della crisi si trovano in un modello economico che ha fatto di qualsiasi cosa un merce, finanziarizzando perfino la società. Infatti non parliamo solo di prodotti, ma anche di servizi, e perfino della mano d'opera stessa; oggi tutto é merce, anche il lavoro risponde a logiche di mercato.
La crisi economica che viviamo oggi e la crisi del debito usata come giustificazione delle politiche di austerità non trovano le loro ragioni nell'immigrazione, ne tanto meno potrebbero essere risolte chiudendo le frontiere. Ho l'impressione che non ci si rende conto della pericolosità di discorsi del genere, e che la Storia non abbia insegnato niente. Il più grande genocidio della storia é nato dall'affermarsi di queste teorie dopo la crisi del 1929.

Il dibattito sullo Ius Soli non é un dibattito sull’immigrazione. Sbaglia chi avanza che genererebbe una crescita dell'immigrazione clandestina.Se fosse così, la Francia sarebbe una destinazione molto più mirata dell'Italia.
 Se tale fosse lo scopo dell'emigrazione (far nascere i figli fuori per farli avere la cittadinanza del paese), chi lascia la propria terra non si fermerebbe più di tanto in Italia.
Inoltre, molto spesso lo Ius Soli può declinarsi in più modi: in Francia ad esempio, un bambino per essere francese deve aver vissuto almeno 5 dei suoi primi 18 anni sul territorio francese.

Con lo Ius soli, si da il diritto di cittadinanza ha chi di fatto, é italiano a tutti gli effetti (anche se non sulla carta o “nel sangue”). Come già evidenziato prima, chi nasce e cresce in questo paese, assume le abitudini di questo paese automaticamente; e questo anche se gli viene trasmessa la cultura dei genitori.

L'Italia é un paese che storicamente ha avuto influenze molto varie, l'italiano di Milano ha culture e tradizioni diverse da quello di Napoli. Che tipo di criteri si dovrebbe imporre ad un bambino di origine straniera per avere il diritto di essere italiano, di preferire il risotto al cuscus, o la pizza agli involtini di primavera?

Questo futile dibattito sulla pretesa di un'integrazione o di un adeguamento alla cultura nazionale é privo di senso. Le comunità di italiani all'estero, a volte anche dopo più generazioni, hanno mantenuto modi di parlare, di cucinare, di comportarsi tipici dell'italiano più tradizionalista. Questo dovrebbe impedire a questi italiani nati in Francia, Argentina o Stati Uniti di avere la cittadinanza di questi paesi?

Chi urla al pericolo quando sente parlare di Ius Soli, spesso é anche chi non riesce a tollerare che gli immigrati ed i loro figli rifiutino di abbandonare la propria cultura per adottare la cultura italiana a tutti gli effetti. Ma se poi, non si vuole nemmeno dare la cittadinanza ad un bambino nato e cresciuto in questo paese, di cui la madrelingua é l'italiano, e che conosce la cultura italiana e l'Italia meglio degli italiani all'estero, di che integrazione stiamo parlando?

Un'altra cosa che si sente dire é: “Perché non chiedono al loro paese di origine di aiutarli?” L'Italia concedendo a milioni di italiani all'estero la cittadinanza e il diritto di voto, garantisce loro un welfare e una protezione sociale? Le tasse che pagano gli italiani aiutano a mantenere le famiglie di italiani all'estero?

Partendo da questo principio, mi vengono in mente due considerazioni: la prima é che molti diritti ed un welfare decente non viene garantito nemmeno in Italia, soprattutto in questi anni di austerità. Mi verrebbe quindi da consigliare a chi ha paura di farsi rubare i diritti di incominciare a battersi per ottenerli, anziché pensare che concederne ad altri sia un pericolo.
In secondo luogo, perché il paese di origine dovrebbe sostentare a persone che nascono all'estero, vivono all'estero, e magari lavorano all'estero e pagano tasse all'estero?
Mio padre ha la sua pensione dalla Cassa di pensioni francese, perché é in Francia che ha lavorato e pagato i contributi. Se chiedesse qualche sussidio all'INPS in Italia, avrebbe una risposta positiva? (se si, fatemi sapere, che fa subito la domanda!)  

La questione dell’ideologia

Arriviamo alla questione dell'ideologia, troppo spesso ho letto o sentito che il dibattito é importante e che "non ci si deve lasciar prendere la ideologie”. L'argomento può essere interessante. Ma penso che non abbia senso se detto proprio da chi é contrario allo Ius Soli.

 Ho incominciato l'articolo facendo un paragone con chi si oppone allo Ius Soli in Francia. Ho voluto appositamente specificare che “parte” dell'elettorato del Front National rimette in causa lo Ius Soli e rivendica lo Ius Sanguinus. Questo dibattito ha addirittura diviso parte dell'elettorato, essendo paradossalmente molti gli elettori che hanno a loro volta qualche origine straniera.

 Oggi Marine Le Pen, nuova leader del Front National, parla di “identità nazionale”, di difesa dei “cittadini francesi” contro il pericolo dell'immigrato e del “cittadino straniero che ruba il lavoro e il welfare”. Ma non rimette più in causa lo Ius Soli.
 Nel 2003, ci fu un dibattito molto acceso sulla questione dello Ius Soli. Sarkozy, allora ministro degli interni, sopranominato “primo sbirro di Francia”, difendeva con molta efficacia lo Ius Soli di fronte a Jean-Marie Le Pen. (http://www.ina.fr/video/I04170437)
Lo stesso Sarkozy che ha fatto molte leggi contro l'immigrazione e che non é certo un uomo guidato da “ideologie di sinsitra”, prese posizioni nette per lo Ius Soli. Ecco, non mi sembra che Sarkozy sia stato spinto da ideologie di sinistra in questa presa di posizione.

Difendere questo diritto non é una questione “ideologicamente di sinistra”. Rifiutarlo invece deriva da ideologie che hanno portato ai genocidi della seconda guerra mondiale. Le motivazioni che vengono elencate sul “pericolo dello Ius Soli” ricordano Gobineau, Hitler o Le Pen.

Chi oggi ha paura dell'invasione o ritiene che in tempo di crisi non si possano concedere diritti a chi ha origini straniere, fa un discorso razzista, abbraccia in pieno le teorie idologiche “razziste”. Bisogna chiamare le cose con il loro nome. Non c'è dibattito possibile. Chi ritiene che un bambino nato in Italia non deve essere italiano se i genitori non lo sono, é razzista!  

Non si può essere indifferente

Allora, mi viene per forza da citare Gramsci, con il rischio di sentirmi dire che non parlo con la ragione, ma perché “lobotomizzato dall'ideologia”.
Inoltre questo mi ricorda un po la Democrazia Cristiana che diceva di Aldo Moro che le sue tante lettere scritte nella “prigione del popolo” fossero il frutto del delirio generato dalla carcerazione. Il paragone può essere inappropriato, ma penso che da parte di molti, quello dell'“l'ideologia” viene usato come un argomento per rendere privo di senso qualsiasi argomentazione. Le motivazioni e le ragioni della DC non erano le stesse, ma le modalità adottate si.

Mi viene da citare Gramsci, dicevo, vedendo i tanti eletti del Movimento 5 Stelle che rifiutano di prendere una posizione sul tema. Mi vengono in mente le parole “odio gli indifferenti”. C'è però una differenza tra l’indifferenza di cui parlava Gramsci e quella degli eletti a 5 stelle.
Il rifiuto di esprimersi nel caso odierno é solo una caratteristica dei peggiori politicanti, paradossalmente così attaccati dai grillini. In effetti la non presa di posizione é strategica, é dovuta alla consapevolezza del rischio di perdere dei consensi per il Movimento 5 Stelle.
Il rifiuto di esprimersi su molti temi trova le sue motivazioni nel fatto che l'elettorato di Grillo é molto variegato, e quindi alcuni temi non devono essere trattati. Si rischierebbe con la questione dello Ius Soli di perdere elettorato tendenzialmente leghista o addirittura fascista.

Molti eletti del M5S rifiutano di esprimersi e non fanno altro che far le stesse dichiarazioni: “valuteremo la questione”, “vedremo”, “faremo un referendum”.

Voglio chiudere proprio su questa proposta che ritengo assolutamente anti-democratica: ricorrere al referendum per fare esprimere i soli cittadini italiani per decidere della sorte di persone che di fatto non hanno questo diritto, é del tutto anti-democratico.

E come se prima di dare il diritto di voto alle donne, si fosse fatto un referendum tra soli uomini, o se prima dell'abolizione della schiavitù si fosse fatto un referendum tra soli bianchi. Inoltre a dimostrare il populismo e la malafede di chi fa questa proposta, c'è di fatto che la questione dello Ius Soli non potrebbe essere decisa tramite referendum popolare, considerando che la Costituzione italiana non prevede il referendum “propositivo”.

Per qualcuno lo Ius Soli non é legittimo, per qualcun altro i figli di immigrati italiani nati all'estero, in fin dei conti, non sono italiani. Quanti non-cittadini vogliamo? Quante persone senza identità ne diritto alcuno? Quale delle mie due carte d'identità dovrei stracciare?

Raphael Pepe

  

dimanche 19 juin 2011

Referendum del 12 e 13 giugno: hanno vinto democrazia partecipativa e difesa dei beni comuni


“Abbiamo vinto!” Questa frase la si sente forse troppo spesso, a volte in modo errato perché in realtà non si è vinto un gran che, o perché a pronunciare queste parole, c'è chi è salito sul carro dei vincitori all'ultima ora, chi si attribuisce delle vittorie.



Dopo qualsiasi votazione, la stampa si interessa di due cose in particolare: chi ha vinto e chi ha perso. Quella stessa stampa, quelli stessi media che ci hanno oscurato durante la raccolta firma e ancora di più durante la campagna referendaria, oggi corrono verso i soliti politici di turno per sentire commenti. Ma la chiave di lettura non ce l'hanno, o piuttosto non la vogliono usare nemmeno ora, perché certe porte non conviene aprirle, certi meccanismi non conviene sconvolgerli.



Tra i perdenti ci sono anche i mass-media; è questa la prima grande svolta!

Allora qualcuno cerca di spiegarselo, in televisione si dibatte sulla questione, e c'è chi ha già pronta la risposta, o almeno crede di averla: “è un risultato politico generato da internet e da facebook!”

Conviene tornare indietro di qualche decina di anni per capire quali meccanismi abbiamo sconvolto.



All'inizio degli anni settanta, Licio Gelli fondava la Loggia P2, il cui programma prevedeva di “appropriarsi dei mezzi di comunicazione per cambiare la società italiana e prendere il potere.”

Ad applicare il tutto ci ha pensato colui che qualcuno chiama Cavaliere. Nel 1994, dopo 15 anni che hanno cambiato la televisione italiana e fatto della società italiana una società più individualista, dopo aver distrutto i partiti di massa, l'uomo della televisione diventava Presidente del Consiglio.

Da allora, la politica si è fatta soprattutto sul piccolo schermo; finito il tempo dei piccoli circoli, delle piccole sezioni di partito: anche i partiti della sinistra italiana, o di quella che ne è rimasta, si sono adeguati.



Ecco perché con l'esito referendario, si può parlare di grande svolta. Abbiamo vinto i referendum senza la televisione. Abbiamo portato 27 milioni di italiani alle urne facendo politica dalle strade.

Il 19 luglio del 2010, consegnavamo 1 400 000 firme per proporre i referendum per l'acqua pubblica, entravamo nella storia con un numero di firme mai raccolto prima.

A parte il Manifesto che ci ha sostenuto sin dall'inizio, nessuno ha preso in considerazione questo dato importante.



A gennaio, ci siamo preparati su ogni territorio per la campagna referendaria, come durante la raccolta firma; è facendo banchetti informativi, partecipando a feste, manifestazioni, essendo presenti nelle piazze, nei mercati, parlando con la gente dei quartieri popolari che abbiamo fatto questa campagna.

Inizio marzo, il governo sceglieva di spendere 400 milioni di euro per farci votare i 12 e 13 giugno, anziché accorpare i referendum col voto delle amministrative. Si puntava sul non raggiungimento del quorum, perché cercare di difendere le ragioni del no all'acqua pubblica era per loro impensabile, troppo rischioso.

In coerenza con tutto questo, perfino la Rai ha svolto un ruolo importante nel non informare i cittadini. Tranne su RaiNews24, su nessun canale si è parlato dei referendum; tranne quando ci sono state le manovre del governo per cercare di far saltare i quesiti sul nucleare e sull'acqua.

Solo che sul nucleare, la Corte Costituzionale ha deciso che rimandare la questione non bastasse, mentre sull'acqua, è stata la Confindustria a rifiutare qualsiasi modifica del decreto Ronchi che voleva regalare la gestione tutti i servizi pubblici locali ai privati.



Negli ultimi giorni prima del voto, su tutte le piazze italiane, è successo l'impossibile, a fare la campagna non erano più i soliti comitati e le solite associazioni che componevano il comitato referendario. Tanti cittadini si sono organizzati con propri mezzi, volantinando, parlando con la gente, facendo eventi vari, consapevoli che questa battaglia fosse di tutti.

Finalmente è giunta la domenica del voto: nei seggi si vedeva gente andare a votare col sorriso, gente di tutti i ceti sociali, uomini e donne di tutte le età felici di poter esprimersi sulla gestione dei beni comuni, sulla questione nucleare e sulla giustizia.



In Italia c'è sete di democrazia partecipativa! Questo è la conclusione alla quale non sono arrivati i grandi media, questo è il dato di fatto che i partiti rifiutano di prendere in considerazione.

Il 12 e 13 giugno, non è stata la sconfitta di Berlusconi, ma quella di 30 anni di politiche neo-liberiste, delle multinazionali, delle grandi lobby; non è stata la vittoria dei Bersani e Rutelli che sono coloro che hanno svenduto i servizi pubblici locali facendo SPA in tutt'Italia, ma è stata la vittoria della gente comune!



Con questi referendum, gli italiani si sono espressi contro la privatizzazione dell'acqua e le logiche di mercato, contro i profitti su un bene che è di tutti. La gente ha detto “basta” ad una mercificazione senza freni di ciò che è di tutti!

Non è un caso se anche in una giornata di sole, anziché godersi la domenica e il sole di giugno, la gente ha preferito andare a votare. Questo referendum proposto dai cittadini non poteva che ottenere questa grande risposta dei cittadini.



Pierluigi Bersani dice che ha capito, dice che è pronto a governare subito... e dimostra così di non aver capito niente.



In Italia, è cambiato qualcosa, i cittadini italiani hanno sete di politica e di partecipazione. Gli occhi della stampa mondiale sono puntati sull'Italia. Solo in sud America, in Bolivia o in Uruguay, il popolo si era espresso fortemente per difendere l'acqua.



Questo grande movimento, forte di questa vittoria deve continuare a cambiare la politica italiana. Non contiamo su chi cerca di interpretare il voto referendaria e non saputo farlo, la pagina più bella della Storia italiana degli ultimi trent'anni, l'abbiamo scritta noi.



Vogliamo la pubblicizzazione del servizio idrico integrato in tutte le città d'Italia, e sin dal mese prossimo, niente più profitti sul acqua bene comune. La legge che garantiva il minimo del 7% per la remunerazione del capitale investito è stata abrogata dal voto del popolo sovrano.



Raphael Pepe

Attac Italia – Comitato Referendario 2 SI per l'Acqua Bene Comune

vendredi 17 juin 2011

Référendum en Italie: une victoire pour la démocratie participative et la défense des biens communs


Le 13 Juin 2011, nous avons écrit une belle page d'histoire en Italie.

Dans un pays où la démocratie est continuellement piétinée, un pays où les médias conditionnent la politique depuis plus de 20 ans, dans un pays où le processus de privatisation des biens communs ne connaissait aucun frein; nous avons réussit à nous réapproprier de nos droits en disant non à la marchandisation de l'eau et aux politiques néo-libérales et en disant oui à une démocratie participative et à la défense des biens communs.

Ce référendum populaire est né de l'initiative des Comités citoyens pour l'eau publique de toute l'Italie, qui depuis 2006 sont coordonnés par le Forum Italien des Mouvements pour l'Eau Publique.

Déjà en 2007, ce réseau de comité avait recueilli plus de 400 000 signatures pour proposer une loi d'initiative populaire malheureusement jamais discutée au Parlement.

Fin 2009, le gouvernement Berlusconi approuvait le décret Ronchi qui obligeait les institutions locales à transformer toutes les sociétés qui géraient le Service de distribution de l'eau en S.P.A mixtes et à organiser des appels d'offre pour attribuer au moins 40% des actions de ces sociétés à des partenaires privées.

Prenant acte de cette situation, nous avons décidé de proposer un référendum populaire pour l'abrogation des lois qui imposaient la privatisation et d'autres normes qui prévoyaient un minimum de 7% de profits dans les SPA pour la rémunération du capital investi (art.154 du décret environnemental fait par le gouvernement Prodi en 2006).

La Constitution italienne prévoit que pour proposer un référendum abrogatif, il soit nécessaire de recueillir 500 000 signatures. Alors dans chaque région, chaque province, chaque ville, des comités de citoyens se sont organisés pour récolter ces signatures. En moins de 3 mois, nous avons recueilli 1 million et 400 mille signatures. Nous entrions déjà dans l'histoire sans qu'aucun journal ne prenne acte de ce grand résultat.

Dès Janvier de cette année, nous avons repris la mobilisation pour nous préparer à la campagne.

En Mars, nous avons fait une manifestation nationale qui a vu la participation de prés de 500 000 personnes à Rome, et nous avons su la date du référendum: 12 et 13 Juin!

Le gouvernement choisissait d'envoyer les italiens aux urnes, à un moment de l’année où historiquement l'affluence est toujours basse en Italie. La raison était simple, en Italie pour qu'un référendum soit validé il faut rejoindre le quorum de 50% de participation.

La solution la plus simple aurait été de faire le référendum en même temps que les élections municipales de Mai, mais cela aurait signifié une plus grande facilité à rejoindre le quorum.

En Mai, la campagne officielle devait commencer, mais la télévision publique, la RAI n'était pas intentionné à respecter les normes prévues en tant de campagne électorale.

Jusqu'au référendum, l'information a été dérisoire. C'est dans les rues, dans les écoles, dans les universités, en participant à tout les événements publiques, en organisant des conférences, des débats, des forums, des fêtes que nous avons fait cette campagne sans jamais attirer l'attention des grands médias qui pendant ce temps préféraient s’intéresser à toutes autres choses.

Nous n'avions aucun doute sur le résultat du vote, le plus dur n'était pas de convaincre les gens de voter OUI pour l'eau publique, mais de les informer qu'il y avait un référendum et de faire en sorte qu'ils aillent voter.

En Italie, nous votons le dimanche et le lundi jusque 15h!

La fête a commencé bien avant le dépouillement, parce que nous n'avions aucun doute sur le résultat final. A 15h, nous avons enfin su que 57% des italiens avait voter! Ce n’était pas arrivé à un référendum depuis 1995.

Nous avons écrit une belle page d'histoire. Le détail des votes n'était ensuite qu'une formalité, parce que nous le connaissions déjà au plus profond de nous tous: 95% des votant se sont exprimés pour l'eau publique et contre les profits sur ce bien commun!

Le 13 Juin, de nombreux partis ont chercher à s'attribuer une victoire qui est celle du peuple. On parle beaucoup de la défaite de Berlusconi, mais ce sont les politiques néo-libérales et les grandes multinationales qui ont été battues!

Une nouvelle ère commence dans ce pays.

Ce que nous répétons depuis le début de cette campagne s'est avéré: “Ça s'écrit EAU, mais ça se lit démocratie”

Raphaël Pepe

Attac Italia – Comité Referendaire pour l'Eau Bien Commun

dimanche 8 mai 2011

La vérité sur la crise des déchets de Naples


La vérité sur la crise des déchets de Naples
Les raisons politiques et économiques

Pour comprendre les raisons du problème des déchets à Naples, il y a de nombreux éléments à prendre en considération. Ce n'est pas la première fois que j'écris un article sur cet argument, le dernier remonte à la dernière crise que nous avons connu en 2008.

Pour de nombreux italiens, les raisons de ce problème ne sont pas claires, et cela est dû au fait qu'il y a une désinformation très forte en la matière. La plupart des journaux et des médias ne se limitent qu'à faire un bilan de la situation, montrant les images des déchets accumulés dans les rues. Peu sont les journaux qui cherchent à faire une analyse politique de ce problème; et ceci est dû au fait qu'il y a beaucoup d'intérêts en jeu, des intérêts économiques surtout, mais aussi politique.
Ce qui est inquiétant par contre, c'est de voir que même de la part de nombreux journaux à l'étranger, il n'y a pas la volonté d'approfondir ce thème par des enquêtes. Trop souvent les articles sont faits avec les nouvelles envoyées par les agences de presse italiennes, et les images utilisées par les journaux télévisés sont celles envoyés par les confrères italiens. Résultat, cette désinformation arrive même à l'étranger.

La crise des déchets à Naples et dans la région Campanie est un problème qui éxiste depuis 16 ans désormais. Il faut remonter à 1994 pour en connaître les racines.
Jusqu'en 1994, de nombreux industriels italiens organisaient un trafic de déchets toxiques en Somalie, ex-colonie italienne. Pour les grandes industries, le traitement de ce type de déchets est très couteux, et pendant des années, une grande partie de ces déchets étaient dévérsée dans la corne d'Afrique, avec la complicité des douanes, de l'armée italienne, et d'autres institutions somaliennes et italiennes. Tout cela a été dénoncé par Ilaria Alpi, journaliste italienne de la chaine RAI 3. Non seulement, elle a su dénoncer de manière précise ces trafics, mais beaucoup de choses portent à penser qu'elle détenait des preuves concrètes qui auraient pu démenteler tout le réseau. De nombreux hommes politiques italiens, de nombreux entrepreneurs, mais aussi des membres haut gradés de l'armée étaient impliqués. Le 20 mars 1994, elle était assassinée à Mogadiscio, capitale somalienne, avec son caméraman. Le matériel qu'elle avait à disposition n'a jamais été retrouvé.

Quel est le rapport entre cette histoire et le problème napolitain? Suite à l'omicide l'Ilaria Alpi, le trafic de déchets n'a plus été possible dans l'ex-colonie italienne, et c'est la Camorra, mafia napolitaine, qui a trouvé la solution. Dés 1995, c'est dans la région Campanie qu'ont commencés à être déversés les déchets toxiques des industries du nord du pays. Dans de nombreuses décharges publiques, des tonnes de déchets toxiques ont été dévérsés ces 15 dernières années, et c'est un vrai désastre écologique que connait la région Campanie; et non pas une simple crise des poubelles.
La camorra, avec la complicité de grands industriels et de nombreux hommes politique de droite comme de gauche a mis les mains sur les décharges publiques et créé de nombreuses décharges abusives. La nouvelle décharge publique construite à Naples dans le quartier Chiaiano en 2008, sur décision directe du gourvnement Berlusconi a été fermée il y a quelques mois parce que des enquètes ont démontré qu'elle était aux mains de la Camorra.

Tout cela n'est cependant qu'un aspect du problème. Il faut ajouter le fait que dans la ville de Naples, la société de gestion de la récolte des déchets est une société privée, tout comme les sociétés qui gérent le traitement des déchets dans la région.
Même si le service est de piètre qualité, la région de Naples est celle où les impots pour le traitement des déchets sont les plus élevés d'Italie; et le traitement des déchets est un buisness très fort dans un département qui compte 3 millions d'habitants sur un périmètre assez restreint.
La production de déchet est très forte par rapport au périmètre et pour les entreprises qui travaillent dans ce secteur, les poubelles vallent de l'or.
Alors nous avons des administrations locales qui continuent à verser de l'argent public à ces sociétés privées et qui refusent de mettre en place un système de tri séléctif à Naples et dans les allentours.
L'Italie paye chaque année des amendes salées à la commission européenne parce que trop de villes ne font pas le tri séléctif. Alors le raisonnement est simple: si ceux qui nous gouvernent, au niveau local et national choisissent de dépenser de l'argent public pour payer un service qui laisse à désirer et pour payer les amendes à la comission européenne, c'est parce qu'il y a de nombreux intérêts et que la corruption est surement forte. Les acteurs de cette histoire sont: la camorra, les industriels du nord, les sociétés privées qui gèrent le traitement des déchets, et surtout les grands groupes de constructions qui ces dernières années ont construit de nombreuses décharges publiques et de nombreux incinérateurs.

Depuis des années, de nombreux mouvements, de nombreux comités citoyens ménent une dure bataille contre les institutions locales et nationales, demandant simplement l'organisation d'un système de tri séléctif des déchets, et refusant la construction continue de nouvelles décharges et de nouveaux incinérateurs. A Naples, le comité de Chiaiano méne cette bataille depuis 4 ans. Au quartier Scampia (connu comme quartier de la Camorra, grace ou à cause du roman et du film Gomorra), ces derniers mois un nouveau comité s'est formé aprés la décison de la mairie d'y faire une nouvelle décharge. A Quarto, a Terzigno, a Acerra, de nombreux autres comités luttent depuis des années pour les mêmes raisons. Alors entendre parler de l'incivilité des napolitains qui seraient responsables de ces crises des déchets, mais qui font au contraire preuve de citoyenneté, c'est absolument déconcertant.

La mauvaise gestion et la complicité de Bassolini, président de la Région Campanie de 2000 à 2010, et le refus du Maire de Naples Iervolino de faire le tri séléctif dans cette ville sont l'une des raisons du problème. En 2008, en pleine crise des déchets, c'est en dénonçant la mauvaise gestion du centre gauche et en promettant de résoudre le problème que Berlusconi a obtenu de très bons résultats dans la région. Il n'a en rien résolu le problème cependant, étant donné qu'aujourd'hui le trafic des déchets est encore fort, que le tri séléctif ne se fait toujours pas et que tout les térritoires contaminés n'ont pas été bonifiés. Il a su faire en sorte que les montagne de déchets disparaissent de Naples, mais il n'a fait que dégager les conséquences du problème. A l'époque nous étions conscients que ce n'était que question de temps pour revoir ce problème à l'ordre du jour, et au bout de deux ans, voilà que les rues sont de nouveaux pleines de déchets.
Ce que les journaux ne disent pas cependant, c'est que même quand les déchets sont récoltés régulièrement et même quand les villes sont propres, le problème est toujours présent.
Au yeux de beaucoup le problème des déchets émerge de temps en temps, tout les deux ou trois ans, mais ce problème en réalité est un problème continu. Les manifestations pour une gestion publiques des déchets et pour le tri séléctif sont très courrantes, en décembre 2010 et en mars 2011 ce sont fait à Naples deux manifestations régionales pour ces raisons. A Terzigno, c'est une bataille quotidienne depuis la décision prise l'année dernière de faire une décharge dans le parc naturel du Vésuve; mais les images des citoyens de Terzigno qui éssayent de bloquer l'arrivée de camions qui déchargent toute sorte de déchets, et la réponse de la police qui charge ces même citoyens, ne passent sur aucune télévision! Et pourtant ces scénes se répètent constament depuis plus d'un an.

En pleines élections municipales, Berlusconi et Lettieri, candidat de son parti pour la ville montrent du doigt la gestion du centre gauche et promettent de résoudre le problème avec de nouvelles décharges et de nouveaux incinérateurs. Et de tout les journaux qui il y a deux ans insistaient sur le fait que Berlusconi avait résolu le problème, personnes ne met en évidence qu'à l'époque il n'a rien résolu du tout!

J'aimerai qu'un jour, un journaliste français, débraque à Naples pour faire un reportage sur la grande preuve de citoyenneté des comités napolitains, sur le buisness des déchets dans cette région et sur les responsabilités des administrations locales et du gouvernement.

Raphael Pepe

vendredi 10 septembre 2010

France et Italie, un contexte politique de plus en plus similaire


La main mise sur les médias

Nul ne peut contester que l'on a assisté en France, dés la campagne électorale de 2007, à un changement net de la façon de faire de la politique. La droite - comme la gauche qui a choisi de s'adapter - a fait une campagne médiatique clairement centrée sur un personnage et non sur les idées d'un parti. Cette campagne présidentielle a été d'un genre nouveau pour la France.
Les petits partis ont eu une très faible visibilité à la télévision (il suffit de consulter les temps de paroles de chacun de candidats) et un bi-partitisme net s'est clairement affirmé d'un point de vue médiatique, avec un centre gauche et un centre droit de plus en plus similaires. Bi-partitisme qui ne s'est pas forcement retrouver aussi nettement à la sortie des urnes, puisque les partis ayant obtenu de fort résultat était quatre.
Ce bi-partitisme qui caractérise de nombreux pays d'Europe serait en France d'un genre nouveau. En Italie, c'est au milieu des années 90, avec l'entrée en politique de Berlusconi et la scission volontaire du Parti communiste (PCI) que ce bipartitisme est apparu, avec un système électoral certes différent de celui que l'on connait en France, puisqu'il a imposé la nécessité de coalitions (il n'ya pas de deuxième tour aux législatives en Italie). Il ne s'agit donc pas forcement en Italie d'un bipartitisme net, mais plutôt d'un bipolarisme fait de coalitions.
Le style de communication adopté par Sarkozy ces dernières années n'est autre que le « style Berlusconi ». Des thèmes simples, populistes et la construction d'un personage aux milles facettes. Pour pouvoir construire un personnage et imposer les thèmes qui sont au cœur du débat politique national, le contrôle des médias était cependant un facteur essentiel.
En Italie, c'était chose faite dés la création du parti Forza Italia en 1994, puisque Berlsuconi détenait déjà depuis plus de 10 ans les trois chaines privées les plus importantes, des chaînes qui ont été favorisées par les gouvernements de Craxi et Andreotti.
Après plusieurs tentatives en 1984, 1986 et 1987, c'est par la loi Mammi de 1990 qu'ils réussirent à légitimer la situation des chaines berlusconiennes, jusqu'alors en violation des règles de l'audiovisuel.
Les bases pour construire son personnage, Berlusconi les avait donc depuis 10 ans, mais il ne s'est pas limité à cela; avec ses chaines de télévision, il a réussit à faire de la société italienne une société de consommation et à affaiblir de plus en plus les deux grands partis de masses, le PCI et la Démocratie Chrétienne (DC).
En 1994, il se proposait comme un visage nouveau et différent de la politique italienne, un entrepreneur qui s'est construit tout seul (chose bien entendue plus que discutable).
En France, les relations entre Sarkozy et Bouygues (propriétaire de TF1) sont assez similaires à celles qu'ont été les relations entre Craxi (PSI) et Berlusoni dans les années 80. A l'époque, Berlusconi, par ses chaines télévisées favorisait nettement le parti de Craxi, qui de son coté a permi au groupe médiatique du Cavaliere de s'imposer face à la télévision publique (RAI).
De 2001 à aujourd'hui, c'est exactement ce qui a marqué les relations Bouygues-Sarkozy. Dés la nomination de ce dernier comme premier flic de France, les journaux télévisés de TF1 ont contribué à la construction du personnage.
En France et en Italie, les journaux télévisés ont fait du thème de la sécurité l'argument principal du débat politique national; ce qui a permis à la droite de miser sur ce débat qui lui est cher, et d'imposer à la gauche de répondre sur ce thème en période d'élection.
Dans les années 80, en France, les éléctions se jouaient sur des théories politico-économique, sur le débat nationalisation-privatisation, sur des thèmes comme le travail, la santé, l'éducation. Aujourd'hui, les médias ont réussi dans ces deux pays à faire en sorte que les élections se jouent sur des thèmes comme l'immigration et la sécurité.
En remerciement, en France, la réforme de la télévision favorisant TF1 n'a pas manqué. En diminuant la publicité sur France Télévision, les chaines privées ont tirés de nombreux profits, se divisant entre elles le marché publicitaire sur les heures de plus grosse écoute. Inutile de rappeler combien de telles relations entre politique et médias peuvent avoir une influence négative sur la qualité de l'information.


Une droite sécuritaire qui ne fait pas face à la crise économique

C'est vers 1995 que TF1 a choisi cette ligne sécuritaire que tout le monde connait, en créant de nombreuses émissions qui proposaient des reportages sur les violences dans les banlieues. Il faut cependant dire qu'à l'époque le choix n'a pas été dicté par des relations politiques.
Bien au contraire, après la défaite d'Edouard Balladur, candidat choisi par la chaine de Bouygues aux élections présidentielles de 1995. Les rapports entre l'Élysée et la chaine étaient loins d'être bons. L'autre candidat de la droite fraichement élu, Chirac, n'était pas du tout en bons termes avec Le Lay et Mougeotte. Il faut rappeler que Francis Bouygues disait clairement qu'il reprochait à Chirac la défaite de la droite en 1988.
Ayant perdu des relations importantes au sein de la classe politique, TF1 a choisi de parler de plus en plus de faits divers aussi bien durant les JT que durant les émissions d'informtation proposées pas la chaîne, et ce pour deux raisons. La première était simplement stratégique, parler de micro-violence et de faits divers fait augmenter l'audimat; la seconde par contre était plutôt idéologique, Le Lay avait des liens avec l'extrême-droite française, et parler d'insécurité c'était bon pour le FN.
Les rapports entre la première chaîne et le gouvernement se renoueront quand, en 2002, il y a eu la nécessité pour les dirigeants de TF1 de retrouver la droite au pouvoir. Après la victoire de Chirac aux élections et la nomination de Nicolas Sarkozy au ministère de l'intérieur, les liens entre le gouvernement et TF1 se sont nettement renouer. Martin Bouygues, président du groupe depuis 1989, et Nicolas Sarkozy, c'était une histoire d'amitié vieille de plus de 15 ans.
Alors pendant le deuxième mandat de Chirac, l'acteur le plus important a toujours été Sarkozy. C'est de lui que l'on parlait le plus dans les médias, lui le sauveur de la France qui avait peur. En 2007, aprés 5 ans de couverture médiatique, tout était prés pour l'élection présidentielle.
Berlusconi s'est créé lui-même son propre personnage, avec des médias qui lui appartenait, mais le personnage Sarkozy, c'est du made in Bouygues.

Aujourd'hui, en Italie et en France, même en temps de crise économique, la plus grande que l'on ait connu depuis 1929, au cœur du débat politique les grands thèmes sont toujours l'immigration et la sécurité.
Aprés 2 ans de crise, personne n'a remis en cause un modèle néo-libéral qui s'est pourtant révélé fallimentaire. Depuis 2008, Brice Hortefeux a mené une politique contre l'immigration que l'on peut qualifier de raciste, l'un des grands débats en France a été celui de l'identité nationale, et aujourd'hui c'est à une chasse aux roms que l'on assiste dans ce pays qui continu a prétendre être le « pays des droits de l'homme ». Du côté italien, c'est la même musique, Berlusconi continu à dire que la péninsule n'est pas touchée par la crise, comme le sont ses voisins, comme si la crise n'avait pas réussit à passer les Alpes; tandis que dans le sud de l'Italie le chômage dépasse largement les 20% et qu'en Italie prés de 17% du PIB est encore aux mains des organisations criminelles selon des estimations. Mais l'heure n'est pas au dramatisme sur la situation économique, dans les médias on parle de problèmes qui selon le gouvernement et le ministre de l'intérieur Maroni, sont bien plus important: les roms, la délinquance, et l'immigration. Avec un « paquet sécurité » voté fin 2008, le statut de clandestin est désormais équivalent à un statut de criminel, c'est à dire que selon la loi préparée par Maroni, les clandestins désormais considérés hors la loi, ne seront pas simplement renvoyer chez eux, mais encourent avant tout une peine qui peut aller jusqu'à l'incarcération.

Aujourd'hui, dans les deux pays, non seulement la politique sécuritaire est contestée, mais les français et les italiens attendent toujours une vraie réponse à la crise.
Ni en France, ni en Italie, les gouvernements n'ont pris des mesures fortes face à la crise. Les travailleurs n'ont aucune tutelle, les délocalisations sont toujours monnaie courante, et au lieu de renforcer des secteurs publics fondamentaux comme l'éducation et la santé, ceux-ci sont réformés, parce qu'il y a la nécessité de « faire des économies ».
Ce sont aujourd'hui les salariés qui payent la crise, et qui voient leurs droits bafoués. En Italie, les fonds ont été fortement diminués dans l'éducation et la recherche. Des centaines d'emplois ont étés supprimés dans les écoles, collèges, lycées et universités. Résultat: des classes de 35 élèves et des professeurs qui restent sans emploi. Pendant ce temps, de nombreuses industries ont été délocalisés, les salariés de l'usine Fiat de Pomigliano, prés de Naples, luttent contre la fermeture, et des négociation entre le premier constructeur automobile italien et les syndicats de travailleurs sont en cours depuis plus d'un an. L'accord proposé par la Fiat est en violation de tout code du travail, la proposition étant d'accepter de ne pas fermer l'usine et de ne pas délocaliser, en continuant la production; mais en faisant payer un prix fort aux salariés de la FIAT: interdiction de grève, et licenciement en cas d'arrêt maladie. Tout cela peut paraître absurde, mais face à cela les institutions n'ont pas encore levé un doigt et des centaines de salariés sont toujours sur le carreau.
En France, inutile de rappeler que la situation est similaire, de nombreux postes supprimés dans les écoles ces dernières années, l'usine Total de Dunkerque qui a bien risqué de fermer ses portes et une belle réforme des retraites toute prête pour la rentrée.

Dans ce contexte, ajoutons les nombreux scandales en Italie: des rapports désormais certifiés par la justice entre la mafia sicilienne et Berlusoni suite à la condamnation de son bras droit Marcello dell'Ultri, la contestation de la politique berlusconienne dans les derniers jours de la part de la droite plus radicale de Fini qui dénonce les lois faites ad hoc par le premier ministre ces dernières années, de la part de la Confindustria (Medef) qui critique l'incompétence du gouvernement en matière économique et de la part de l'église qui dénonce la politique raciste et xénophobe du gouvernement et les comportement immoraux du leader de la droite.
Depuis son entrée en politique, Berlusconi n'a jamais connu une si grande désapprobation de la part du peuple.
Cette situation fait bien sûr penser à l'actuelle côte de popularité de Sarkozy, et aux divisions avec le reste de la droite, de la droite gaulliste à la droite giscardienne qui désapprouvent la ligne sarkozyste. Enfin, les scandales des relations entre l'UMP et Bétencourt n'arrange rien pour le chef de l'État.

Dans un tel contexte, on en vient à se poser une question bien simple: dans cette situation de crise économique et de mécontentement populaire face aux politiques des gouvernements français et italien, qu'en est-il de la gauche?


Une gauche toujours plus libérale

La France et l'Italie sont les pays européens qui ont eu au cours du vingtième siècle les plus forts partis de gauche. Entre les deux guerre, en France, le Front Populaire formait un gouvernement en 1936, et en Italie, malgré le fascisme et l'interdiction du Parti Comuniste, ce dernier a continué à exister clandestinement et a été le cœur de la résistance italienne. Après la seconde guerre mondiale, le PCI a été le deuxième grand parti de masse, après celui de la DC (démocratie chrétienne). Dans les années 70, il obtenu jusqu'à 30% des voix. Le Parti Socialiste Italien, quant à lui, n'a toujours été que le second parti de gauche, et assez centriste.
En France, par contre, le PCF a obtenu jusqu'aux années 80 des résultats assez importants, mais surtout, le PS a fait durant les premières années du premier mandat de Mitterrand, jusqu'en 1986 au moins, une politique qu'aujourd'hui on qualifierait presque de révolutionnaire. Diminution du temps de travail à 39h, nationalisation de banques et d'entreprises de toutes sortes, du tertiaire comme du secondaire. Alors que le neo-liberalisme de Reagan et Thatcher faisait son école dans le monde entier, en France il y avait encore une gauche forte.
En 1993, en Italie, après le scandale « Mani Puliti », seul le PCI se trouvait indemne et non impliqué dans les affaires de corruption démantelées par la magistrature italienne. Mais après la chute du mur de Berlin, le PCI avait décider de se dissoudre pour être plus modéré, se divisant en deux parti: Rifondazione Comunista et Democratici di Sinistra (DS).
Aujourd'hui en France le PS existe toujours, mais il est bien loin d'être ce qu'il avait été sous le premier mandat mitterrandien, loin des idées de l'un des fondateurs du socialisme français jean Jaures. C'est le PS, sous le gouvernement Jospin qui a complété le processus de privatisation en France, la liste des entreprises privatisées de 1997 à 2002 est assez longue: Air France, le Crédit Lyonnais, France Télécom, Eramet, Thomson Multimédia, CIC, CNP, GAN.
En Italie, les gouvernements Prodi et D'Alema, ont également contribué fortement au processus de privatisation dans les années 80.
Alors qu'en est-il de la gauche qui défendait les valeur du service publique, mettant sous tutelle de l'État des biens et des services, en les protégeant des marchés financiers.
Qu'en est-il de cette gauche qui considérait un certain nombre de biens et services des droits à garantir aux citoyens et non pas des biens et services sur lesquels les investisseurs privés peuvent faire profit?
Cette gauche là, aujourd'hui, en France et en Italie, on l'appel extrême gauche. Défendre les services publics, protéger les travailleurs et garantir un système de protection sociale aux citoyens sont devenus dans l'Union Européenne des réformes politiques contraires à la norme qui est devenu le libéralisme.
Là est la réponse à la question « qu'est devenue la gauche ?». Les partis de centre-gauche ayant accepter depuis le début des années 90 d'embrasser les théories néo-libérales imposées par l'Union Européenne ne sont forcement plus des partis de gauche à proprement dire.
En Italie, ces partis ont choisi de changer leurs noms et d'afficher clairement la couleur, le parti de centre-gauche s'appelle Parti Démocrate, Nichi Vendola a créé il y a deux ans son propre parti suite à une scission avec Rifondazione Comunista et a choisi d'éliminer tout terme comme « socialisme ou communisme », appellant son parti Sinistra e Libertà (gauche et liberté). L'ancien juge Di Pietro a également créé son propre parti, mais bien qu'étant à gauche de l'échiquier politique, son parti L'Italia dei Valori (Italie des valeurs) n'a rien d'un parti de gauche, c'est un parti de crédo libéral qui a choisi de s'opposer à la droite italienne fasciste et populiste. Les seuls aspects sur lesquels Di Pietro s'oppose absolument à Berlusconi sont ceux qui concernent la justice et le non-respect de la démocratie et de la constitution italienne.
En pleine crise économique, une crise due à 30 ans d'application des théories néo-libérale dans le monde entier, comment la sociale-démocratie peut-elle aujourd'hui s'opposer à une politique économique qu'elle défend depuis vingt ans. La faible opposition du PS en France et du Parti Démocrate en Italie est simplement due au fait que d'un point de vue économique, leurs programmes ne diffèrent pas forcément de ceux de la droite. Nous sommes arrivés à un système à l'anglaise ou à l'américaine, avec deux pôles de crédo libéral qui ne s'affrontent plus sur les grands thèmes qui ont passionné et divisés les citoyens jusqu'aux années 80.
Voilà pourquoi aujourd'hui on en est à un point où les élections se jouent sur des thèmes comme l'immigration ou l'insécurité, sur le reste la confrontation entre centre-gauche et centre-droit est devenue inutile.
Ne nous voilons pas la face, même si la politique de Sarkozy et Berlusconi ne sait en aucun cas faire à face à la crise, le centre gauche n'en serait pas d'autant plus capable. On ne peut pas demander à des pyromanes de jouer aux pompiers; qui a engendré la crise ne peut trouver une solution à la crise!

vendredi 2 avril 2010

Verso il referendum per l'acqua pubblica!


In numerose città d'Italia, da anni si sono costituiti dei comitati cittadini per difendere l'acqua pubblica. Oggi, la legislazione italiana costringe purtroppo li enti locali a mettere l'acqua sul mercato, considerando cosi' l'acqua come una merce qualsiasi e non come un bene comune privo di rilevanza economica.
Mentre grandi città europee come Amsterdam, Bruxelles e Parigi hanno scelto di tornare ad una gestione pubblica, le città italiane non hanno più la libertà di fare questa scelta.
A Parigi, l'acqua é stata privatizzata nel 1985, la gestione del servizio idrico era affidata alle due più grandi multinazionali dell'acqua, Veolia e Suez. Prima della scadenza delle concessioni nel dicembre 2009, il comune di Parigi ha proposto un referendum interno per chiedere ai cittadini se fossero favorevoli ad una gestione pubblica. Dopo l'approvazione dei cittadini, il comune si é riappropriato la gestione di questo bene e da gennaio una sola società pubblica ha sostituito la società mista che si occupava della produzione e le due società private che si occupavano della distribuzione. Il prezzo dell'acqua é già sceso di quasi il 30% e non verrà incrementato nei prossimi cinque anni. Non ci saranno più profitti sull'acqua perché il comune di Parigi ha inserito nel suo statuto che questo bene fosse « privo di rilevanza economica », il denaro sarà reinvestito per garantire un miglioramento del servizio ai cittadini parigini e tutti i dipendenti delle tre società sono stati assunti dalla nuova società pubblica.
In Europa, nessuna normativa stabilisce che tipo di gestione i comuni devono adottare, il caso italiano é unico.

Nel 2008, in tutt'Italia migliaia di studenti sono scesi per le strade per denunciare la legge 133 proposta da Tremonti, questa legge che tagliava i fondi alle università pubbliche non era una riforma dell'istruzione, ma una legge finanziaria. L'articolo 23 bis della 133 impone agli enti locali di mettere sul mercato la gestione dei trasporti, dei rifiuti e dell'acqua. L'articolo 23 bis é stato modificato dall’art. 15 del decreto 135/09, e coordinato con la legge di conversione del 20 novembre 2009, n. 166, la legge Ronchi. Tale normativa stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l'affidamento a soggetti privati attraverso gara o l'affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all'interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%. Con questa ultima norma, il governo Berlusconi voleva mettere fine al lavoro dei comitati per l'acqua pubblica in Italia, imponendo la privatizzazione.
Data la situazione, per potere arrivare ad una gestione pubblica dell'acqua, e per fare si che questo bene sia considerato un diritto e non più una merce, il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha deciso di andare verso il referendum.

Il 24 aprile, partirà in Italia la raccolta firma per un referendum che si propone di abrogare le leggi che impongono la privatizzazione.
Il primo quesito si propone di abrogare l'articolo 23 bis della 133/2008 e quindi della legge Ronchi (166/2009) del 20 novembre scorso. Gli altri due quesiti vogliono abrogare li articoli 150 e 154 della legge 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente) approvata dal governo Prodi.
L'articolo 150 definisce come uniche modalità di affidamento del servizio idrico integrato la gara o la gestione attraverso Società per Azioni. In questo caso, anche con una SPA pubblica, alternativa proposta da numerosi partiti, la gestione risponderebbe alle logiche di mercato e l'acqua sarebbe quindi considerata una merce. Abbrogare questo articolo é tuttora necessario per non consentire più il ricorso a gare di appalto o all'affidamento della gestione a società di capitali.
L'articolo 154 dispone che la tariffa per il servizio idrico é determinata tenendo conto dell' « adeguatezza della remunerazione del capitale investito ». Si consente al gestore, con questo articolo, di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulle bollette un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento quantitativo del servizio.

Per l'abrogazione di questi provvedimenti, il referendum popolare é ormai l'unica strada possibile, e una vittoria sarebbe un grande passo verso la ripubblicizzazione dell'acqua, e sarebbe un esempio per la gestione di altri beni comuni fondamentali.

Per proporre questo referendum, abbiamo tre mesi per raccogliere 500 000 firme. Il referendum si farebbe poi nel 2011. Serve l'aiuto di tutti coloro che considerano l'acqua un bene comune da difendere, ogni firma sarà un contributo a questa lotta e chi volesse raccogliere le firme darebbe un contributo ancora più grande.
Nel comitato promotore non c'é nessun partito, questo referendum é proposto dai cittadini, ai partiti si é solo concessa la possibilità di fare parte del comitato di sostegno. Nell'ultimo mese, il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha persino rinunciato all'appoggio dell'Italia dei Valori che non si voleva limitare ad essere tra i sostenitori, ma pretendeva di essere tra i promotori. Cosi' facendo non si é permesso a nessun partito di strumentalizzare questo referendum.

Alcuni criticano la scelta referendaria considerando che si offre ai partiti una piattaforma politica, l'esempio dell'Italia dei Valori dimostra che non é la volontà dei comitati. Accettare le condizioni del partito di Di Pietro avrebbe anche significato avere un appoggio economico rilevante, ma i comitati hanno preferito auto-finanziarsi come hanno sempre fatto perché questo referendum é il frutto di cittadini e cittadine che da anni lottano per difendere l'acqua pubblica.
Oggi l'Italia Dei Valori ha annunciato la promozione autonoma e solitaria di un “grappolo” di referendum, tra i quali anche l’acqua, con deposito dei quesiti a metà aprile e inizio campagna il 1 maggio. Questa scelta, otlre a creare confusione, é del tutto irrispettosa di un percorso che hanno costruito cittadini e cittadine di tutt'Italia. Invece di contribuire a raccogliere le firme per il forum dell'acqua come altri partiti hanno scelto di fare senza essere promotori, l'Italia Dei Valori vuole proporre un referendum che fa concorrenza a quello proposto dal Forum, e questo il giorno dopo che i tre quesiti siano stati depositati alla Corte di Cassazione. Il 4 marzo, in un incontro tra l'IDV e il Forum dell'acqua, il partito di Di Pietro aveva dato la sua parola che non avrebbe proposto un altro referendum.
Oggi si cerca di convincere questo partito ad abbandonare questa scelta che puo' solo essere dannosa per il percorso scelto. Due raccolte firme diverse per l'acqua creerebbero solo confusione, si spera che i quesiti dell'IDV non verranno presentati.

Per chi fosse interessato a contribuire alla raccolta firma in Campania, troverete informazioni su http://www.acquabenecomune.org/index.php e su http://www.italia.attac.org/spip/. Potete anche essere aggiornati tramite le pagine facebook Comitato Campano per l'acqua pubblica e Attac Napoli. Basta lasciare un messaggio e vi informeremo sulle cose da fare per contribuire alla ripubblicizzazione dell'acqua.

Raphael Pepe

jeudi 1 avril 2010

Questo voto « utile » che uccide la democrazia e che si é rivelato anche inutile! (Regionali 2010)

In molti paesi d'Europa, c'é ormai questa tendenza del voto utile. Votare per una lista o un candidato non perché si ritiene che é il migliore, ma per «non perdere un voto» e non permettere ad un candidato peggiore di passare. Innanzittuto c'é da dire che é proprio il sistema di votazione ad imporre questo ragionamento. Si é riuscito in Italia, ma non solo, ad arrivare ad un bipartitismo all'amerciana, cosa assurda in un paese che storicamente ha avuto dei partiti con delle divergenze politiche che gli Stati Uniti potrebbero solo sognare. In Italia, come in Francia, ci sono stati dei partiti comunisti forti, e un dibattito politico sempre acceso e variegato, almeno fino a qualche anno fa. Ma la storia, la conosciamo, inutile ripercorrere i 60 anni della Repubblica italiana e ricordare come siamo arrivati alla situazione attuale.
Penso piuttosto che sia il momento di porci delle domande sul risultato, su quello che é diventata la politica italiana, sulla carenza di qualità del dibattito politico in questo paese.
A sinistra, il PD ha dichiarato già dal nome di avere abbandonato tutte le ideologie storiche della sinistra. In un paese in cui Craxi aveva già privato la parola «socialismo» dal suo senso, i partiti cercano di togliersi la minima etichetta politica. Il PCI si é trasformato in Democratici di Sinistra, e adesso addirittura, le varie trasformazioni e coalizioni hanno portato alla creazione del Partito Democratico. In una Repubblica democratica non é scontato che i partiti dobbiano essere democratici? Certo che in Italia non é cosi' chiaro, ma penso che un partito che si dice di sinistra dovrebbe proporre di più. La critica non riguarda solo il PD, si puo' anche parlare di Vendola che ha lasciato Rifondazione Comunista per creare un partito chiamato «Sinistra e libertà»; l'abbandono del termine comunista per «sinistra» é molto paragonabile alla scelta fatta dai DS dopo aver sciolto il PCI.
Cosi' non solo si é distrutta la scacchiera politica italiana, ma soprattutto si é suicidata la sinistra. Abbiamo una sinsitra sempre più centrista, che ha abbracciato da anni le teorie neo-liberiste.
Ma in Italia non c'é più gente di sinistra? Molti operai votano PDL o la Lega Nord, in Francia molti votano Front National, il partito di Le Pen. Ma la sinistra certe domande non se le fa? Se l'operaio non vota più a sinistra non é solo perché la società é cambiata (é anche questo), ma é anche perché sia in Italia che in Francia c'é una sinistra che non é più sinistra, in Italia ci sono dei partiti di sinistra che non fanno opposizione (parlo di quelli che sono in parlamento soprattutto), e non sono nemmeno propostitivi.
In tempo di crisi era il momento opportuno per rimettere in causa teorie neo-liberiste che sono diventate la prassi in Europa, e invece di questo i partiti di centro-sinistra diventano sempre di più dei partiti di centro, se non di destra.
Il bipartitismo va rifiutato, bisogna pretendere dalla sinistra che faccia cose di sinistre, e non é votando PD quando non si condividono nemmeno le proposte del partito che si cambieranno le cose. Il voto utile uccide i piccoli partiti, distrugge ancora di più la qualità del dibattito politico (se qualità c'é ancora), e non da nessuna speranza di arrivare a dei cambiamenti veri.
In Francia, alle elezioni che hanno seguito le presidenziali dell 2002, molte persone di sinistra che non condividevano le idee del PS hanno votato questo partito, invece di votare piccoli partiti di sinistra con i quali si trovavano di più, per paura di perdere i voti e di dare forza al FN di Le Pen. Il risultato é che i piccoli partiti stanno muorendo e che si é arrivato anche li ad un bipartitismo, basta pensare ai risultati ottentuti da partiti come l'allora LCR (ora NPA), Lutte Ouvrière, il PCF, e les Verts alle presidenziali del 2007.
In Italia, abbiamo in parlamento un centro sinistra che non fa opposizione, e ci sono solo due partiti rappresentati, PD e IDV, dei partiti che tutto sommato sono assolutamente liberisti. Non bastava questa situazione per capire che il voto utile é una cazzata?
In Campania, quanti sono quelli che hanno votato De Luca, pur considerando che fosse un fascista, pur non condividendo nemmeno le idee del PD, pur non apprezzando per niente l'uomo o pur ritenendo che la colazione che difendeva "De Luca presidente" non fosse abbastanza a sinistra. Quanti hanno pensato che bisognava votare utile per non trovarci con Caldoro presidente. Ma perché? In dieci anni, con Bassolino alla regione, le cose sono andate bene? Non abbiamo dovuto fare opposizione lo stesso? Qualcuno credeva veramente che con De Luca le cose sarebbero cambiate e migliorate in Campania? Molta gente di sinistra non é andata a votare o ha votato De Luca. Io tra questi posso capire quelli che non sono andati a votare, perché significa rifiutare la scelta del meno peggio. Ma quelli che dicevano addirittura di condividere le idee di Rifondazione Comunista e che hanno preferito non buttare il voto oggi sono soddisfatti? Bel bilancio: Caldoro presidente, e alla regione solo membri del PD, dell'IDV e di Sinistra e Libertà per fare opposizione. E la Mussolini o la Mastella hanno avuto i loro seggi. Il voto utile non solo uccide i piccoli partiti ma legittima l'inazione di una sinistra che ha perso la sua identità, e non permette per niente di rimettere in causa una democrazia malata. Io non sono legato a nessun partito, ne sostengo nessun partito in particolare, sono molto critico anche nei confronti di Rifondazione Comunista, ma non capisco chi ha scelto di votare PD o Sinistra e Libertà, perché delusi da Rifondazione! Perché votare più al centro?
Io sono italiano residente all'estero e non ho votato a queste elezioni per problemi amministrativi che non sto a spiegare, e sinceramente non so bene quello che avrei votato e se avrei votato in Campania se ne avessi avuto il diritto. Sono contento di non aver dovuto fare la scelta tra candidati che non mi corrispondono per niente, ma di sicuro, votare (in)-utile, non lo avrei mai fatto, non l'ho mai fatto ne in Francia, ne in Italia (voto in entrambi i paesi).
Quelli che mi conoscono sanno che preferisco fare politica al di fuori dei partiti, e questo articolo é ovviamente indirizzato a persone che come me considerano che la democrazia italiana é malata. Ma cerchiamo di guarirla, non accettiamo la malattia! Votare utile é accettare la malattia, non é combatterla!